Pensavo fosse calcio e invece era Van Basten

Citazione presa il giorno dopo la partita Milan – Göteborg del 25 novembre 1992 da non ricordo quale giornale.

Basterebbe ciò a spiegare cosa sia successo la sera prima e l’emozione che un giovane tifoso possa aver provato in una serata del genere.
Verso le ore 19 gioco con il mio videoregistratore, ho ottenuto il permesso di registrare la partita. Non potrò vederla in diretta perché “finisce tardi”. Ho otto anni.

Facciamo una premessa: il Milan nel marzo 1991 sta perdendo a Marsiglia i quarti di finale di Coppa Dei Campioni. Ha pareggiato 1 a 1 a Milano ed è sotto 1 a 0 in trasferta, a dieci minuti dalla fine. Per due anni consecutivi i rossoneri hanno vinto questa competizione. Basterebbe un goal per mandare la sfida ai supplementari, ma in attacco manca Marco Van Basten, il centravanti più forte al mondo in quel momento, perché squalificato ed inoltre la squadra è molto stanca. Questo è il quinto anno di Sacchi alla guida del Milan ed i ragazzi sono fisicamente sfiniti. Poi accade l’impensabile. Di colpo si spengono le luci dello stadio e, dopo poco, piano piano si riaccendono. I giocatori sono pronti a ritornare in campo, ma i dirigenti del Milan, vedendo uno spiraglio di luce per “uscire” da una situazione complicata ritirano la squadra: “non si può giocare senza luce”. Risultato: partita persa e squalifica di un anno dalle competizioni europee. Chiediamo scusa, abbiamo sbagliato.

Scontata la pena, il grande ritorno in Europa è fissato appunto per il 25 novembre 1992. La Coppa Dei Campioni si è intanto trasformata in Champions League e la formula è leggermente cambiata. Il Milan ospita i temibili, per lo meno alla vigilia, avversari del Göteborg. Molto fisici e veloci, ma tecnicamente inferiori.

Quel Milan è una squadra imbottita di campioni e l’allenatore, Capello, è un fuoriclasse. Con Maldini squalificato si inventa un insolito Massaro terzino sinistro. I ragazzi sono talmente forti che anche questo è concesso. Oltre alla solita difesa solida, Lentini prima versione è incontenibile sulla fascia sinistra, mentre Eranio, consistente e ordinato, fa quello che vuole sulla destra. In mezzo Albertini ragazzino e Rijkaard. Davanti con Van Basten c’è Papin. Ogni commento è superfluo.

La serata perfetta ha inizio.
Primo gol di Van Basten annullato per una spinta. Poi Marco e Jean Pierre scambiano a velocità supersonica nell’area di rigore avversaria come se fosse allenamento, il difensore avversario trascina per terra Van Basten che cadendo riesce comunque a calciare. 1 a 0. Secondo tempo: Marco subito steso in area avversaria, rigore e 2 a 0. Al sessantunesimo il goal simbolo della mia infanzia, Eranio crossa da destra, Marco è un po’ troppo avanti e decide di colpire la palla in rovesciata con un’eleganza tale che bisogna vedere e rivedere la giocata per crederci. 3 a 0. Un minuto dopo, palla sporca, finta di corpo, ancora Van Basten. 4 a 0. Da quel momento tutto cambia. Tutto diventa relativo. Tutto si ridimensiona riferito a questa partita.

Marco Van Basten ritira il suo terzo pallone d’oro in cinque anni, pochi giorni dopo. È in cima al mondo.

Ha una caviglia dolorante. Giocherà ancora una partita di Champions League ad Eindhoven e pochi spezzoni di partita in campionato. Poi ancora, ombra di sé stesso, la finale di Monaco. Tenterà di tornare a giocare a calcio per due anni. La caviglia non glielo permetterà.

Rimane, a mio avviso, il più forte attaccante di tutti i tempi.